Ecco come funzionava la fabbrica dei troll del Russiagate

Un giornale russo ha ricostruito l’attività di un’azienda di San Pietroburgo che avrebbe influenzato le elezioni americane sfruttando i social network

Ecco come funzionava la fabbrica dei troll del Russiagate

Tutto inizia con degli hot dog. Nella primavera del 2015 – un anno e mezzo prima delle elezioni americane – una delle “fabbriche di troll” russe fa un esperimento. Vuole capire se riuscirà ad attrarre delle persone a un evento inesistente a New York, senza muoversi da San Pietroburgo. “Chi si presenterà avrà in omaggio un hot dog”, scrivono su Facebook.

In tanti credono all’annuncio e rimangono delusi nel vedere che dei panini non c’è nessuna traccia. Non sanno di essere osservati. Per la “fabbrica dei troll”, dove la scena è tenuta d’occhio grazie a una webcam, è la prova che si possono influenzare le persone a distanza, semplicemente condividendo delle notizie false.

L’esercito dei troll
Lo racconta il giornale russo Rbc che ricostruisce in un’inchiesta molto dettagliata come è nata l’Ira (Internet research agency), una delle principali “fabbriche di troll” di San Pietroburgo, e il modo in cui – sempre secondo il giornale – si è poi mossa per influenzare le presidenziali americane. Per riuscirci avrebbe speso più di due milioni di dollari, stipendiando centinaia di impiegati che durante la campagna elettorale avevano il compito di alimentare la disinformazione sui social media. Lo scopo principale era di diffondere l’odio razziale nel contesto di campagne come “Black lives matter”. Ma potevano anche sposare altre cause, come quella per la diffusione delle armi.

Rbc ha stilato un elenco di quasi 120 comunità e gruppi tematici di questo tipo diffusi in Facebook, Instagram e Twitter, attivi fino all’agosto 2017 e collegati alla “fabbrica dei troll”. Il giornale ha chiesto la consulenza di alcuni esperti di linguistica, fra cui Ronald Meyer della Columbia University. Hanno provato che in una buona parte dei post gli errori nell’inglese erano quelli tipici dei madrelingua russi. Secondo le stime di Rbc, la fabbrica è stata in grado di condividere fra i 20 e 30 milioni di post e altri contenuti nel solo settembre 2016. Arrivando ai 70 milioni nell’ottobre.

Per di più, secondo Rbc alcune delle storie condivise dalla “fabbrica” sarebbero state così credibili da essere poi riprese dai media internazionali come Bbc, Usa Today e Al Jazeera. Secondo fonti interne alla fabbrica, in questo periodo sarebbero stati spesi quasi 200.000 rubli (circa 3.000 euro) al mese per tecnologie informatiche, fra cui server proxy, nuovi indirizzi ip e sim telefoniche.

Come una vera fabbrica
Come ha scritto Thing Progress, le campagne internet non supportavano direttamente Donald Trump, ma avrebbero poi favorito la sua campagna elettorale alimentando tematiche sociali controverse. Questo scopo poteva però non essere chiaro ai dipendenti della “fabbrica dei troll”, organizzati come in una qualsiasi azienda.

Rbc ha spiegato come gli impiegati rispettassero dei turni, con giorni di pausa e salari differenziati sulla base delle competenze. Un troll di primo livello poteva guadagnare 55.000 rubli ogni mese (quasi 810 euro), ma erano previsti dei premi in caso di reazioni forti alle storie condivise. Secondo le stime, in questo periodo avrebbero lavorato per la “fabbrica” fino a 250 persone.

Ma è difficile avere poi il conto degli attivisti che hanno sposato le campagne architettate a San Pietroburgo, senza neppure sospettarne l’origine russa. Convincerli non sarebbe stato difficile. Il sistema d’influenza non era poi molto diverso da quel primo rudimentale esperimento che aveva portato decine di persone in una piazza di New York, in cerca di un hot dog gratuito.

Articolo pubblicato per la Stampa, 20-10-2017

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