L’ossessione del buon dietologo. Ovvero, come ho iniziato a leggere i giornali (tutti i giorni)

Così ho iniziato a costruire le basi di un sogno, partendo da un concetto basilare: solo dagli altri si può imparare

L’ossessione del buon dietologo. Ovvero, come ho iniziato a leggere i giornali (tutti i giorni)

Finché un giorno mi son svegliato ed è iniziata l’ossessione. Chiedete alla mia ex, se ancora si ricorda e se ha voglia di rispondervi: lei ha vissuto questa mia mutazione, tipo “incredibile hulk”, in diretta. O chiedete ai miei familiari, costretti a nuotare in un cumulo di carta. Da un giorno all’altro mi ero convinto. Dovevo imparare (dagli altri) ad essere un buon giornalista.

La follia di questo disegno, in realtà immensamente naturale, era che ai tempi la prospettiva di lavorare effettivamente per un giornale, anche come semplice collaboratore, mi sembrava una meta irraggiungibile. Però avevo in mente quello che diceva sempre la mia professoressa d’italiano al ginnasio: «io non posso insegnarvi a scrivere bene, avreste dovuto iniziare a leggere a sette anni».

Estremismo tipico di un liceo classico probabilmente. Ma un qualcosa di vero c’è. Con la lettura tout court ero a posto, penso di aver sempre letto, almeno dalle elementari in poi (ma forse su questo tema varrà la pena fare un blog a parte). Ma con quello stile un po’ particolare: il giornalismo… beh, forse ero ancora in debito, nonostante i temi d’italiano con il foglio protocollo diviso in due che mi riuscivano tanto bene.

Così iniziai a comprare il giornale nel modo in cui dovrebbe essere comprato: appunto ogni giorno, con qualsiasi condizione psicofisica, di tempo, di posizione geografica. Un’ossessione appunto. Prima il Corriere della Sera, poi la Repubblica, feci una prova con La Stampa, scoprii l’inserto culturale la domenica col Sole 24 Ore. Praticamente ero un folle, soprattutto se confrontato con i miei coetanei.

E in effetti c’erano episodi, in questa magnifica ossessione, che rasentavano davvero la follia. Come quelle volte che il sabato facevo le ore piccole e la domenica mattina – magari a casa della mia insofferente, e già menzionata, ex – mi alzavo intontito, magari persino un po’ brillo, solo per scendere al tabaccaio di sotto. «Sono uno Zombie, vorrei La Repubblica e il Sole 24 ore. No, non si preoccupi, non Le vomiterò sui giornali».

O quando, sempre con “la Menzionata”, decidemmo di staccare dal mondo (ovvero: l’Università) per una settimana al mare, e scelsi l’albergo solo perché riportava la scritta: «ogni mattina una copia del tuo quotidiano preferito». Mica si possono mettere da parte le ossessioni in vacanza. (Direte voi: anche al mare ci sono i tabaccai..sì va beh, ma volete mettere fare colazione con il profumo di crema solare nell’aria e la “terza pagina” di Repubblica? Questa è una Vacanza!).

O quando, ancora, si dimise Veltroni dal Pd (17 febbraio 2009) e decisi che volevo capire come la stessa notizia potesse essere trattata da punti di vista diversi. Così, insieme a Repubblica e Corriere della Sera, decisi di comprare anche Libero. Lo ammetto: scelsi un tabaccaio dove mai ero andato, a Trento, e mi vergognai tantissimo nel chiederlo.

In tempi di crisi economica (figuratevi per uno studente universitario, allora con lavoro saltuario al Mediaworld) me le inventavo tutte per avere quell’euro e qualche centesimo in più per comprare il giornale. Di solito chiedevo prestiti genitoriali, ovviamente mai restituiti. Oppure portavo qualche euro in meno dal resto quando compravo le sigarette per mio padre.

O, ancora, mangiavo di meno in mensa nei confusi pranzi fra una lezione e l’altra. E ovviamente a rimetterci era soprattutto la “Menzionata”, che sapeva che quando mi offriva il caffè doveva aggiungerci qualche euro in più che io mi fregavo col ghigno malefico. (Fra parentesi, il sabato avevamo una specie di accordo. Lei si prendeva “D”, l’inserto femminile della Repubblica, io mi tenevo il giornale. Una perfetta parità di genere. In cui il mantenuto ero io).

Naturalmente dopo due anni di questa ossessione, o poco più, ricevetti l’avviso di garanzia del pubblico ministero (alias: mia madre), con ingiunzione di sfratto se non avessi deciso di metter mano al mio archivio. Ovvero, centinaia di giornali stipati in camera mia che se si fossero rianimati come i giocattoli di “Toy Story” avrebbero potuto creare un esercito e conquistare il mondo.

Finì con un compromesso storico (fra me e il pubblico ministero): una scatola di cartone in cui salvai i giornali con le notizie che ritenevo più importanti. E gli altri se ne andarono, in un funerale celebrato davanti a un cassonetto per la raccolta della carta. Saranno stati riciclati per produrre altri giornali. The circle of life, da “Toy Story” siamo passati al “Re Leone”.

Quando poi su un giornale iniziarono a mettere anche la mia firma, scoprii che fra il leggere e lo scrivere qualche differenza c’è; e che soprattutto per trovare una notizia bisogna lavorare sul campo. E non si finisce mai d’imparare, sbagliare, e alla fine, solo alla fine, anche migliorare.

Però, insomma, oggi in mia difesa, vostro onore, forse posso dire che quegli anni di ossessione erano solo una parte dell’addestramento. La parte delle fondamenta, quelle radici che non sono richieste neanche dall’esigentissimo “Albo dei giornalisti”, ma che sono forse la base vera su cui costruire poi tutto. Perché un giornalista che non legge è come un dietologo obeso. Voi vi fidereste?

Aggiornamento 14 maggio 2017: La malattia nel frattempo è diventata cronica. Attualmente sono abbonato su iPad a: Corriere della Sera, Repubblica, Il Sole 24 Ore, La Stampa, Il Foglio, Internazionale, New York Times, Il Manifesto. Compro regolarmente Pagina99. Leggo online ilPost. Altri giornali la mattina a scuola, dove ci vengono per fortuna forniti.

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