Lo storico Harold James. “La sfida: de-globalizzare o re-globalizzare”

Lo storico Harold James. “La sfida: de-globalizzare o re-globalizzare”

TRENTO Alla fine della sua relazione, ieri al Festival, lo storico dell’economia Harold James si è rivolto direttamente al pubblico: «Quanti di voi credono che la globalizzazione sia destinata a finire?», ha chiesto. Nella sala di palazzo Geremia esattamente metà del pubblico ha alzato la mano. L’altra metà l’ha alzata invece dopo, sostenendo il contrario. «La deglobalizzazione è il mio peggior incubo», ha detto James. Ma ha anche ammesso che la divisione del pubblico ieri a Trento è la stessa degli analisti a livello internazionale.

Dopo Brexit ed elezione di Trump, nello scenario internazionale si stanno profilando due possibili alternative, in realtà avviate già nel 2007 con la crisi finanziaria. Una vera e propria “deglobalizzazione” appunto, con la chiusura dei mercati e il ritorno del nazionalismo. Oppure una sorta di “globalizzazione 2.0”, con caratteristiche diverse. Che abbia lo sguardo rivolto magari alla Cina, alle aperture al libero scambio del presidente Xi Jipling e alla nuova via della seta.

E c’è chi ha suggerito, con il venir meno dell’affidabilità politica degli Stati Uniti, che dovrebbe essere l’Europa a proporsi come guida di una nuova globalizzazione. Ovviamente con una forte leadership tedesca. Sono tutte posizioni che hanno però aspetti fra loro contraddittori, come ha spiegato James. «Il mercato della Cina non è poi così aperto come vorrebbero far pensare – ha detto –. Il sistema economico della Germania invece può andare bene per una piccola nazione, ma non per il mondo intero». «D’altra parte rinunciare alla globalizzazione ha comunque aspetti negativi: immaginate quanto potrebbe costare un cellulare se fosse prodotto interamente negli Stati Uniti?».

Ciò che è davvero chiaro è che è in corso un cambiamento. Ed è lo sguardo dello storico che può aiutare. «Nel corso della storia e sin dall’impero romano – ha spiegato James – ci sono stati diversi momenti di globalizzazione, tutti a un certo punto sono entrati in crisi». Gli Stati Uniti hanno oggi dalla loro il possesso e il controllo di una grande quantità di dati, ottenuti da aziende come Facebook e Google. Una possibile via per costruire una globalizzazione più giusta, secondo James, potrebbe essere la condivisione di questi dati: «Se tutti avessero la possibilità di capire in maniera equa e in tempo reale l’andamento dell’economia, il mondo sarebbe meno opaco».

Pubblicato sul Trentino, 5 giu 2017

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