Faedo, restaurato il monumento ai caduti

Filippi, capogruppo degli alpini: «Dietro a questi nomi ci sono storie e drammi del nostro passato»

Faedo, restaurato il monumento ai caduti

FAEDO – «Sai cosa ci dicono questi nomi? Le storie dei nostri avi ci insegnano a non seguire mai la strada della guerra ma quella della pace». Queste stesse parole – ripetute ora da Vigilio Filippi, che è capogruppo degli alpini di Faedo da gennaio – nei giorni scorsi le hanno dette un po’ ovunque in Trentino, mentre le corone d’alloro venivano posate in memoria dei caduti di tutte le Guerre. Ma qui, in questo piccolo paese abbarbicato sui colli fra la Rotaliana e la val di Cembra, quest’anno la memoria assume un valore ancora più importante.

Nei giorni scorsi gli alpini di Faedo hanno festeggiato infatti la ristrutturazione del loro monumento ai caduti. «Ma non è solo nostro – precisa Filippi – è di tutta la comunità». Perché, a quasi cent’anni dalla fine della Grande guerra, coltivare il ricordo resta una priorità per tutti. «Questo monumento lo hanno voluto i faedri (gli abitanti di Faedo, ndr) negli anni Sessanta» ricorda Filippi. E sembra di vederli questi uomini e queste donne, cresciuti nel Dopoguerra con il ricordo della guerra ancora vivo nella pelle e nella mente.

Parliamo di un popolo contadino, abituato ai sacrifici ma anche allo spirito di comunità, come in tutti i piccoli paesi del Trentino. «A quei tempi – continua Filippi – formarono un comitato per la costruzione del monumento». Oggi il restauro, voluto dagli stessi alpini, è stato possibile grazie a quasi novemila euro finanziati da diversi enti: 1.300 euro dalla Comunità di valle, 3.750 dal Comune di Faedo e altrettanti dalla cassa rurale Rotaliana e Giovo.

«Credo che i nostri nonni e i nostri padri avessero in mente due insegnamenti quando hanno voluto questo monumento – dice Filippi –. Innanzitutto che può cambiare il comune, o la provincia, la regione e sì, come è successo, anche la nazione: ma i caduti sono sempre loro, i nostri cittadini, i nostri familiari, i nostri paesani, morti per difendere i valori del nostro paese».

E poi, cos’altro volevano insegnarci? «Che dietro a questi nomi ci sono delle storie di vita – risponde Filippi – dei drammi infiniti che fanno parte del nostro passato. Come il padre della nostra madrina alpina: è morto in guerra e non ha mai potuto vedere crescere sua figlia, non l’ha potuta aiutare a farsi una famiglia. I nostri avi ci insegnano che non bisogna seguire mai la strada della guerra, ma solo quella della pace. Anche quando sembra la più difficile».

Articolo scritto per il Trentino, 20-11-2017

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