Nostalgia canaglia l’Italia gioca, ma è solo un buon film

Nostalgia canaglia l’Italia gioca, ma è solo un buon film

Contrordine: tirate fuori birra e barbecue, le grigliate per i Mondiali sono salve. È vero: in Russia gli azzurri non ci sono. Ma c’è un modo per fare un viaggio emozionale nel tempo, tornare a Pirlo e Grosso, alle parate di Buffon e alla testata di Zidane.

Per prima è arrivata La7 che giovedì sera ha trasmesso la replica della finalissima 2006: Italia-Francia, commentata da Bruno Pizzul. Share del 5,58% e una media che ha sfiorato il milione di telespettatori: si segnalano tifosi nostalgici sui divani, a sbraitare e sudare come se fosse in diretta. Poi è stato il turno di Netflix che si è inventata il mondiale (del 2006, ovvio) on demand. Come La Casa di Carta, Stranger things o le altre serie tv, le partite dell’Italia sono trasmesse in streaming.

Ieri è uscito il primo episodio, annunciato da un trailer in stile hollywoodiano: Italia-Ghana, due a zero, gol di Pirlo e Iaquinta. Gli altri episodi seguiranno a debita distanza di qualche giorno, fino alla finale del 15 luglio. Anche se qualche burlone sui social si è lasciato andare ai pronostici: “Girone ostico: col Ghana ne prendiamo almeno tre, con gli Usa vinciamo facile, ma la Repubblica Ceca ci manda a casa”. Qualcun altro su Facebook ha chiesto a Netflix se si farà una seconda stagione e loro hanno risposto: “Sì, ma con un altro cast”. Cannavaro e Totti purtroppo non tornano.

Tutto questo è patetico? Malinconico? Forse sì, ma per qualcuno è come rivedere un bel vecchio film di cui già si conosce il finale. Mentre gli altri si emozionano per quello che succede davvero negli stadi, magari per un gol al novantesimo minuto o oltre (come ieri Uruguay e Iran), i tifosi di casa nostra si accontentano di rivedere in replica il cielo azzurro sopra Berlino. Perdonate lo spoiler: il mondiale del 2006 finirà bene. Ma poi ci saranno il 2010 (Sud Africa) e il 2014 (Brasile). E la profonda tristezza (calcistica, si intende) del 2018 in Russia.

Articolo scritto per Il Fatto Quotidiano, 16 giugno 2018

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