“Suerte”. In viaggio per diventare un bravo giornalista

Storia di un incontro con una famiglia di argentini in cerca delle radici del loro passato

“Suerte”. In viaggio per diventare un bravo giornalista

Mi hanno detto “Suerte”, buona fortuna, così come salutano sempre i latinoamericani. Mentre scendevo alla stazione di Pesaro mi son reso conto che forse era qualcosa in più di un saluto. Perché quando si è in viaggio sui binari della vita la fortuna serve davvero.

Li ho incontrati qualche settimana fa, sull’intercity che da Bologna arriva a Pesaro. Eravamo nella stessa cuccetta io e loro, tre anziani dell’Argentina. “Fra quanto si arriva ad Ancona?”, mi hanno chiesto in spagnolo. “Mancano ancora un po’ di stazioni”, ho risposto in italiano. La comune radice indoeuropea delle nostre lingue era abbastanza per capirci.

È venuto fuori che erano in viaggio in cerca del loro passato. I genitori erano partiti dalle Marche fra le due guerre, fra i tanti emigrati (migranti) in cerca di fortuna oltreoceano. Non sapevano molto di quel loro comune passato. Però, prima che la vita tramontasse su di loro, volevano vedere quei luoghi dove i loro avi vivevano. “Tu coltivi le vigne?” mi han chiesto, diverse volte prima che riuscissi a capire la domanda. “No, sogno di fare il giornalista e sono qui per studiare”. “Bé, fai bene. Sai, coltivare le vigne è difficile. Si sta tutto il giorno sotto il sole”. Fare i giornalisti in fondo è sempre meglio che lavorare.

Il fatto è che ho preso questa famiglia argentina come una metafora di ciò che sto vivendo. Non avrei mai detto che a trent’anni mi sarei ritrovato ancora a scuola, a cercare di scombinare le carte del mio destino. Cercando di sapere, conoscere, approfondire, studiare. Insomma, come gli argentini, in viaggio per cercare qualcosa. Se per loro era il passato, per me il futuro. “Suerte” appunto. Grazie a voi, ne ho davvero bisogno.

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