La guerra ignorata nello Yemen: la morte di Saleh seppellisce la pace

Tutte le contraddizioni e i tradimenti di un ra'is, che però poteva rappresentare una possibile via per la risoluzione di un conflitto che continua a uccidere

La guerra ignorata nello Yemen: la morte di Saleh seppellisce la pace

Solo una settimana fa l’Economist dedicava la copertina del settimanale allo Yemen, scrivendo della guerra che il mondo ignora. Qualche giorno dopo l’attenzione dei media si è un po’ riaccesa con la morte dell’ex presidente ‘Ali ‘Abd Saleh e il suo cadavere trascinato come un trofeo dai ribelli sciiti. Ma il corpo martoriato di un ex ra’is non racconta nulla di uno dei più terribili disastri umanitari in corso, forse peggiore della Siria – anche se certi paragoni sulla pelle bruciata dei bambini, no, non andrebbero mai fatti –. Nello Yemen chi non muore di guerra o fame lo fa per il colera, un’epidemia che potrebbe costare la vita a un milione di persone entro fine anno, secondo Croce rossa e Medici senza frontiere.


La guerra dello Yemen

La guerra dello Yemen è un concentrato di tutte le contraddizioni del Medio Oriente: l’esempio di come la religione possa diventare un’arma per il potere. Saleh è stato fra gli ultimi esponenti di una generazione di capi militari – come Mu’hammar Gheddafi e Saddam Hussein –, capaci all’occorrenza di rinegoziare laicità, credo e religione in base ai loro interessi. Per Saleh è il tratto finale di una parabola discendente. Nei giorni scorsi ha aperto a una possibile intesa con l’Arabia Saudita sunnita wahabita, dopo aver combattuto gli ultimi anni a fianco dei ribelli sciiti zaiditi houthi. È stato l’ennesimo tradimento, quello che gli è costato la vita.

Per capire davvero lo Yemen, il Corano conta meno di una cartina geografica. Lo stato – apparentemente riunificato fra nord e sud negli anni Novanta proprio dalla presidenza di Saleh – si affaccia sul golfo di Aden. È una finestra verso il mar Rosso, l’Africa e l’oceano Pacifico: una propaggine a sud per i sauditi che infatti sono i principali protagonisti della guerra. Manco a dirlo, dietro gli sciiti in funzione anti-sunnita c’è invece l’Iran.


Una guerra senza fine

Fra il 2011 e il 2012, sull’onda delle primavere arabe, Saleh è costretto a dimettersi. Al suo posto sale al potere il vicepresidente Mansur Hadit, protetto dai sauditi. Saleh strappa un accordo che gli permette di avere salva la vita, ovviamente accettando l’esilio. Ma preferisce accendere la miccia della guerra civile, alleandosi con i ribelli sciiti houthi. Poco importa che gli stessi sciiti siano nostalgici della monarchia zaidita, non certo di una repubblica militare come quella di Saleh. È una delle tante contraddizioni. Nel 2014 Hadit fugge dalla capitale San’a, presa da assalto dagli sciiti. In sua difesa intervengono i sauditi, iniziano i bombardamenti. Nei suoi ultimi giorni Saleh tenta un disperato cambio di casacca e cerca un accordo con Ri’ad. Finisce cadavere nella polvere, trascinando con sé l’ennesima illusione di una pace.

Senza Saleh ora gli houthi hanno perso quella che poteva essere la loro pretesa di una legittimità internazionale. Ma non smetteranno di combattere per questo. È come se lo Yemen vivesse una guerra tribale, dove però intervengono anche i grandi attori medio orientali con le loro bombe: sunniti contro sciiti, ma non solo. Come si è visto in Siria e in Iraq, nel caos serpeggia l’incubo dello jihadismo salafita. Vi ricordate a quale organizzazione facevano parte i fratelli Kouachi, quelli che hanno preso d’assalto la redazione di Charlie Hebdo nel gennaio del 2015, uccidendo una decina di giornalisti e disegnatori? Sì, erano di “al-Qaeda nello Yemen”.


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Immagine d’apertura: Mr. Ibrahem via WikiMedia

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