“Se vuoi goderti Pollock e Mondrian va’ al museo con il neuroscienziato” (Tuttolibri)

I miei pensieri dopo la lettura di un'intervista al neuroscienziato Kandel

“Se vuoi goderti Pollock e Mondrian va’ al museo con il neuroscienziato” (Tuttolibri)

Qualche tempo fa ero al Belvedere di Vienna. Era un viaggio organizzato per i ragazzi del mio paese, ufficialmente ero uno degli accompagnatori. In un momento di maggiore libertà – quando eravamo tutti all’interno dello stesso museo, ma ognuno per i fatti suoi (finalmente!) – mi sono trovato di fronte a un quadro di Egon Schiele.

Mentre alcune mie amiche passavano di là in maniera abbastanza indifferente, io sentivo un senso di profonda attrazione e inquietudine. Fissavo il paesaggio autunnale con i Vier Bäume e sentivo una misteriosa sensazione di nostalgia. Come se stessi vivendo un ricordo che sapevo non appartenermi.

Ovviamente pensavo fosse solo una suggestione, anche se già avevo letto della sindrome di Stendhal. Però sembravo l’unico al Belvedere a provare quelle emozioni, almeno lì in quel punto, di fronte a quel quadro. E la cosa mi dava pure fastidio. «Cheveffregadelrresto, guardate qui, questo paesaggio, questi alberi, questi colori… perché non sentite niente, dannati voi?».


Tutta colpa del cervello

Oggi (4 novembre 2017) su Tuttolibri l’articolo di Giuseppe Beccaria forse mi spiega qualcosa in più e mi consola del fatto che i miei non fossero semplici postumi di una sbronza (che, per inciso, non avevo neppure fatto).

L’articolo è in realtà un’intervista a Eric R. Kandel, neuroscienziato già premio Nobel, nato per coincidenza proprio a Vienna nel 1929. Il suo ultimo libro – “Arte e neuroscienze. Le due culture a confronto” (Raffaello Cortina) – spiega che quando siamo di fronte a un quadro si attivano «processi neuronali specifici, che (…) oltrepassano le logiche visive standard». In sostanza, è tutta colpa di quello che è il centro focale di ogni nostro pensiero. Ovvero – anche se qualche mia ex forse citerebbe per me, e per altri maschi, un’altra parte del corpo – è tutta colpa del cervello.


Solo quattro alberi

Kandel, rispondendo a Beccaria, spiega che «nell’arte figurativa molte informazioni sono già disponibili, mentre in quella astratta c’è più lavoro cognitivo: lì si svelano con maggiore evidenza i processi neuronali di ciò che avviene quando guardiamo e mettiamo insieme idee diverse». Qualcuno può pensare che Schiele nel suo quadro abbia raffigurato «semplicemente quattro alberi». Ebbene, la cosa veramente sconvolgente dell’arte è questa: per il mio cervello no, non sono solo alberi.

Ovviamente in questo c’è anche l’eterna battaglia fra chi pensa che l’arte concettuale e l’arte astratta non abbiano senso e che ci si debba fermare in un eterno-Rinascimento figurativo. Invece si scopre (ma non è una grande novità) che il cervello non è sempre così razionale come siamo abituati a credere. Nella gara fra emisferi poi nascono emozioni totalmente personali, che non si possono descrivere, solo provare.

Altrimenti perché continueremmo a innamorarci, se razionalmente è la cosa più stupida e masochista che possiamo fare?


PS: è un po’ banale ricordarvi che fra i Café viennesi di fine secolo, proprio negli stessi anni di Schiele, si stava compiendo anche la grande rivoluzione dell’inconscio. Con i cervelli alimentati dalla dopamina della Sacher-Torte, e Freud e la psicoanalisi e tutto il resto. Proprio «L’Età dell’inconscio» è un altro saggio di Kandel, citato da Beccaria in coda all’intervista. In copertina c’è Klimt, perché metterci Schiele sarebbe stato forse un po’ troppo.

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